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Della Carità

Dai Discorsi del Servo del Dio Didaco Bessi 

Della Carità1

[Nel passato ragionamento,]2 In una delle passate meditazioni, vi mostrai, come il meglio seppi, i motivi che ci debbono spingere ad amare il nostro Dio; e questi motivi gli trovammo sì nella bontà e bellezza sua, sì nei benefizii immensi che egli ci ha fatti, sì nelle promesse superiori ad ogni nostro merito colle quali ha voluto sublimare le nostre speranze.

Veduto pertanto che dobbiamo amare Dio per i motivi già accennati resta ora che esaminiamo quali requisiti vuole avere questa carità, acciocché ella sia veramente degna di Dio. Ed in prima io trovo che i maestri di spirito ci insegnano che la carità vuol’ essere alta, cioè in grado alto e perfetto. Quando la carità è portata a questo grado, l’anima nostra sente grave rincrescimento d’essere trattenuta dai legami di questo corpo e si considera come chiusa in un carcere penoso, dal quale sospira e manda pietose voci di pianto e di desiderio a fine d’essere liberata e ricongiunta eternamente all’oggetto del suo amore, al suo Dio. Di tale carità era infiammato l’Apostolo allorché esclamava: “Io desidero ardentemente d’essere disciolto da questo corpo e d’esser con Cristo” Cupio dissolvi et esse cum Christo. Di tale carità era acceso il Re profeta allorché diceva: Siccome un cervo sitibondo desidera al fonte delle acque, così l’anima mia desidera te, o mio Dio, che sei viva sorgente! Sicut cervus ad fontem aquarum ita desiderat anima mea ad te fontem vivum. Deve inoltre la carità essere alta, perché vuole esser sollevata all’altezza del cuore di Gesù che è tutto il nostro bene. E’ scritto nel santo Vangelo che dove è il nostro tesoro quivi è il nostro cuore. Ma se noi apprezziamo i beni della terra, la carità nostra non potrà sollevarsi mai a quell’altezza, e sarà simile a quella infelice colomba a cui furono tarpate le ali, che non può inalzarsi e spiegare il volo al suo nido. Affinché dunque il cuore si sollevi, bisogna cominciare a scaricarlo del fardello delle terrene affezioni, le quali sono come piombo che lo tengono oppresso e quasi schiacciato sotto il loro peso. E questo ci verrà fatto facilmente subito che avremo conosciuto che tutti i beni di quaggiù sono fallaci e menzogneri, e che non hanno in se nessun pregio, se non in quanto sono opera di Dio, e alla cognizione di Dio possono guidare. E perché pensate voi, o Revdē Madri, che Gesù Cristo volesse salire in cielo visibilmente davanti a tutti gli Apostoli? Egli lo fece per tirare a se fino a quell’altezza il cuore dei discepoli, e per insegnar loro che da quel momento essi dovevano cercare colassù il loro bene. Or su dunque, o Dilettissime nel Signore, salga il nostro cuore con Gesù risorto al Cielo e non curiamo più le cose della terra, o siano esse prospere o siano avverse, perocché esse non ci potranno mai fare alcun bene o male sostanziale. Vedete i Santi e specchiatevi in loro: essi ottennero questa altezza di carità in tal grado, che fissandosi colla mente nel divino amore furono rapiti in tale estasi che non solamente perderono ogni senso delle cose che stavano loro d’attorno, ma anche chi avesse in quel beato rapimento, forato, straziato, accostato carboni al loro corpo essi non avrebbero sentito alcuna cosa. Noi miserabili, è vero che non osiamo sperare la grazia singolarissima di una sì sublime ed angelica carità, ma adoperiamoci almeno quanto è da noi e ponghiamo mente alla esortazione che ci fa S. Leone papa là dove parlando dell’Ascensione di Cristo ci dice: “Salghiamo al Cielo appresso il nostro maestro e Capo, e rallegriamoci di spirituale allegrezza; e gli occhi del nostro intelletto e del nostro desiderio leviamo a quella altezza dove Cristo è salito. E poiché siamo chiamati alle cose di sopra eterne, non ci ficchiamo nelle cose corruttibili di questa valle tenebrosa, nella quale se alcuna prosperità, o Dilettissime, ci lusinga e trae non è da seguire, ma bisogna fuggirla con santa diffidenza.

Coloro che hanno il cuore collocato si alto sono adornati ancora di vera magnanimità, la quale consiste nello stimare un nulla tutte le opere e tutti i sacrifizii che si fanno per amore di Gesù, e nel desiderare di far sempre cose più grandi e nel non trovare mai sazietà. Al magnanimo ancora s’appartiene per forza di amore sostenere fortemente cose terribili, siccome fecero i martiri; operare cose malagevoli, siccome fecero tutti i santi fondatori d’ordini religiosi, ed essere sempre in fervore e in atto siccome il fuoco. Tutto il contrario è degli uomini che hanno il cuore basso e vile; che hanno paura dell’ombra, e ogni piccola cosa lor pare grande, e subito sono stanchi, e per ogni piccolo bene pare a loro esser perfetti.” Questo è proprio veramente delle anime tepide. Vi sono molti i quali quando hanno sentito due o tre messe, quando sono stati per alquanto tempo in ginocchioni, quando hanno recitato qualche preghiera, credono che Iddio debba rimaner loro obbligato e si tengono da più degli altri e par loro di aver toccato il sommo della santità. Altri vi sono che fanno volentieri le consuete penitenze, ma se sieno obbligati di fare nulla3 di straordinario, non si ricusano mica, anzi lo fanno volentieri, ma dentro sé stimano d’aver fatto più del dovere e non possono dissimulare una certa gravezza. Ma questa non è carità alta e magnanima. Ma così non pensavano ne facevano i santi. Vedetelo col fatto. Nella sentenza di santificazione di Francesco Saverio si leggono queste memorabili parole: “Egli si ha per indubitato che il Saverio non fece meno per la Chiesa di Dio e per l’amore di Gesù di quello che facessero i grandi apostoli.” Si può egli dir di più di un uomo? O può egli un uomo far di più quando la Chiesa stessa asserisce ch’egli ha fatto né più né meno di quello che fecero gli Apostoli? Or considerate voi, o Revdē Madri, quanto questo Santo devette esser contento di se stesso al punto della morte! considerate qual compiacenza, qual gaudio ineffabile egli dovette provare in quel punto a pensare che tanto aveva fatto! A pensare che nulla aveva trascurato, che nulla più gli rimaneva da fare, e che il premio promessogli da Dio nella eterna vita era ben guadagnato! Ma che dico? Sodisfatto di se stesso. Il Saverio? contento delle opere sue nel punto di morte, in modo, da esser persuaso d’aver fatto assai per Gesù? Ah venite venite, o Dilettissime nel Signore, a vedere la sua agonia e convincetevi del contrario, e misurate da voi stesse quanto alta e magnanima fosse la sua carità. Venite: voi lo troverete in una povera capanna, tra barbare genti, (nell’isola di San-lion) ridotto all’estremo della vita, combattuto dai dolori della mortale infermità, solo, abbandonato da tutti, disteso sul nudo terreno. Porgete orecchio e uditelo sospirare dolersi profondamente. Ma di che sospirare? di che dolersi? forse di ciò che pativa in quel miserabile stato? forse della sua infermità? forse dell’abbandono degli uomini? Ah non potevano mai esser questi i lamenti che uscivano dalle labbra moribonde del Saverio! Stupite, o Rev.dē Madri! egli si duole ei sospira perché poco gli pare d’aver fatto per la salute de’ suoi fratelli, per l’incremento della Chiesa, per la gloria di Dio. “Ah ben più, o Signore, ben più vorrei fare: conosco che ho fatto poco e me ne dolgo amaramente.” Oh che dovrà esser di noi miserabili, se al Saverio pareva d’aver fatto poco! Milioni di belve selvaggie aveva rendute uomini: e non pur uomini, ma fervorosi Cristiani: e molti di loro non pur Cristiani, ma santi e martiri ancora, come ci narra la storia4 di quei di Manar, che in numero di mille e più corsero volenterosi a versare il sangue per la fede di Cristo: e tuttavia poco gli pareva aver fatto. Aveva non solamente ristorato la Chiesa dai danni sofferti in quel secolo dalle eresie di Lutero e Calvino; ma ancora l’aveva arricchita di tante migliaia di figli, per modo che avrebbe potuto adattarsi a lui maravigliosamente quello splendido elogio che S. Basilio fa di S. Gregorio Nazianzeno, appellandolo Ecclesiae supplementum; e tuttavia egli non è contento e si duole! Lui non altrimenti che S. Paolo, non avevano potuto mai separare dalla carità di Cristo né l’afflizione, né le distrette, né le persecuzioni: non la fame, non la nudità, non le spade; ma anzi poteva come lui confortarsi di essere uscito da tutte queste cose di gran lunga vincitore; ed il suo cuore bramava di più: Egli che in dieci anni di missione, più che altrettanti ne aveva sofferti di martirio dalla stranezza dei luoghi, dalla ferocia degli abitanti; egli che col medesimo Apostolo Paolo poteva ripetere: “Io sono stato battuto di verghe, sono stato lapidato; sempre sono stato in viaggi, in pericoli di fiumi, in pericoli di ladroni, in pericoli dalle genti, dalle città, dalla solitudine, dal mare, dai falsi fratelli; e sempre sono stato in fatica e travaglio; sovente in veglie, in fame ed in sete; in digiuni spesse volte, in freddo in nudità; egli che per tutti questi patimenti poteva in quel punto estremo confortarsi d’aver sostenuti per l’amore del suo Dio, e per la salute de’ suoi fratelli, egli non era sazio ancora, e dolevasi d’aver fatto poco. Oh miracolo di carità, le cui fiamme vigore acquistano e si rinfuocano come più si distendono, e tutta vorrebbono comprendere la terra! Oh carità, che a noi assiderati dal gelo del mondo appena si fa credere e intendere! Questa è dunque altezza di cuore, quando l’uomo per alto amore e grande desiderio ha in dispetto il mondo, e mai non si sazia di ben fare e mai non si stanca e non sente fatica e tutta la sua conversazione è in cielo per santo desiderio. E però che Cristo è forma, esempio e cagione d’ogni nostra perfezione, così S. Bernardo pone i gradi di tale perfezione di carità in questo modo dicendo: Vi sono alcuni ai quali Cristo è nato, e questi son quegli che cominciano a dar forma alla loro vita e indirizzarla secondo l’umiltà, povertà e mansuetudine di Gesù. Ve ne sono altri ai quali Cristo è cresciuto e fatto perfetto uomo. E questi son quelli, i quali già esercitati nella discrezione, ricevono lume e fortezza nelle loro operazioni. Ve ne sono alquanti ai (69 r) quali Cristo è morto, e son quelli i quali congiunti per amore a Gesù sentono per compassione i suoi dolori, e sono confitti con lui sulla Croce, come diceva S. Paolo. Questi tali siccome Cristo sono pronti e disposti di morire per il prossimo, pregare pei nemici, e, a dir breve, vivono a Cristo e sono apparecchiati di morire per Gesù Cristo. Ve ne sono altri ai quali Cristo è già risuscitato; i quali ricevono da lui nuova pace, nuova consolazione, nuova letizia, nuovi doni; come ricevettero gli Apostoli dappoiché ebbero conosciuto e trovato Gesù Cristo risorto. Sono altri ancora a cui Cristo è già salito in Cielo; i quali sono saliti con lui col desiderio, e sono sì congiunti con lui per amore, che né di se, né di alcuna cosa mondana possono aver cura, e sono tutti assorti a quell’altezza dov’è il loro diletto. Sono altri finalmente ai quali Cristo ha mandato lo Spirito Santo, i quali sono tutti infuocati di amore, tutti pieni di sapienza e perfezione a fare miracoli e convertire molta gente. Ecco pertanto, o Rev.dē Madri, i gradi pei quali si sale a quella carità alta e magnanima che pur ora vi ho descritta. Ora il vostro studio sia di conoscere in quale di questi gradi ciascuna di voi si trova, e quanto più inferiori vi trovate tanto più si raddoppino i vostri sforzi per inalzarvi in questa scala di perfezione infino al supremo grado. Non vi nascondo che questa ricerca è assai difficile, perché l’amor proprio ci fa apparire a’ nostri occhi troppo più alti che non siamo. Ma se chiederete lume a Dio se farete tacere nel vostro cuore questo amor proprio male ordinato, potrete ottimamente riuscirvi. Sopratutto poi, se volete facilitarvi questa ricerca, state attente alle opere vostre. Da esse potrete avere la misura della vostra carità. Vi contentate di fare ciò che dalla legge è prescritto senza più? questo è segno che siete appena nel primo grado. Gesù è tuttora per voi pargoletto, e vi bisogna molto affrettarvi con preghiere e con penitenza. Possedete voi una chiarezza di lume superno e forza sufficiente da disprezzare tutte le cose di questo mondo? Rallegratevi, perocché avete fatto un passo di più, e potete sperare che Iddio vi darà grazia di farne un altro maggiore. Vi sapete voi tanto penetrare de’ dolori della Passione di Gesù, da sentirvi con lui confitte sulla Croce, con lui morte e sepolte? Se ciò voi sentite, rallegratevi ancora poiché la vostra carità ha ricevuto un nuovo incremento. Così procedendo in questo esame, né intralasciandolo mai, voi vi troverete cresciute di giorno in giorno nell’amore (70 r) di Dio, ricevendo sempre nuova consolazione e nuova allegrezza.

Dopo avere esaminato che cosa significhi possedere una carità alta e magnanima, non voglio por termine alla presente considerazione senza avervi in breve spiegati anche altri tre attributi che vuole avere la nostra carità acciocché ella sia compiuta e degna veramente dell’oggetto verso cui ella si dirige. Essa pertanto vuol essere anche profonda, e questo vuol dire che deve generare in noi un desiderio ardente di scendere cotanto in basso da conformarci a tutte le umiliazioni alle quali Gesù si volle sottoporre per nostro amore. Chi possiede questa carità dice tra se: Come potrei io sostenere di essere onorato, mentre Gesù fu ricolmo di tutti i disprezzi e i vituperii che mai possono cadere sul più vile degli schiavi? Come potrei volere essere stimato, mentre Gesù consentì di essere tradotto a’ tribunali come il più reo degli uomini? Come potrei mai comodamente vestire, saporitamente mangiare, agiatamente dormire, mentre Gesù non ebbe neppure un vile straccio da coprirsi; non ebbe nemmeno una pietra dove riposare il suo capo divino; non ebbe una stilla d’acqua da smorzare l’arsura della sete, ed il suo letto di morte fu un patibolo atroce, e gli assistenti della sua agonia furono feroci manigoldi che lo schernivano e lo straziavano orribilmente? Così dice chi è profondo nella carità, e secondo queste sante riflessioni si compone una vita di annegazione e di penitenza. Ed oh5 volesse Iddio che il nostro cuore si accendesse di una siffatta carità, che potremo esser sicuri di aver messa in porto la nostra salute. Ma ahimé, che i nostri sensi tiranneggiano la nostra ragione, e sebbene queste riflessioni le facciamo, e ne conosciamo la giustezza e la verità quando elle ci sono fatte da altri, nondimeno non sappiamo indurci ad abbracciarne coll’opera le conseguenze. Preghiamo Dio, o Rev.dē Madri, che ci dia questa forza e passiamo a considerare un altro attributo della carità. La quale è necessario che sia anche universale, cioè che debba abbracciare amici e nemici. Questo voi mi dite non è nuovo e s’intende bene. E chi è che non sappia il precetto Evangelico della dilezione dei nemici? E’ vero, o Dilettissime nel Signore, tutti lo sanno, e quantunque non tutti l’adempiano, pure un certo numero vi sono che fanno forza sopra a se stessi per non trasgredirlo: ed in questo numero, o Rev.dē Madri, io vi farei troppa ingiuria se non ponessi anche voi. Ma non so se abbiate mai posto mente a certe piccole cose, le quali s’incontrano non difficilmente anco tra le  persone spirituali. Voglio intendere di certe tendenze, di certe simpatie piuttosto verso certe persone, che verso certe altre, per cui accade che la carità è più sentita verso chi da nel genio che verso chi meno desta la simpatia. Io non istarò a venire cotanto ai particolari, solo vi basti che la carità vera, universale non ha né può avere cotali riguardi. Ella abbraccia ugualmente e coll’istesso calore ogni sorta di persone, ci siano o no simpatiche, godano o no la nostra stima. Anzi se ella deve dare una preferenza la darà sempre a coloro da’ quali l’animo più ripugna. So bene che tali perfezioni sono più facili a insegnare che a mettersi in pratica; so bene che io il quale vi parlo con tanta franchezza sono il più miserabile di tutti. Ma voi non dovete guardare alla reità di chi vi parla, ma sì alla verità delle cose parlate: né dovete consultare le forze vostre, ma sì quelle che vi può somministrare e che certamente per sua misericordia non vi negherà il vostro Sposo celeste.

Finalmente la carità vuole essere perseverante e ferma contro ogni tentazione. Vi sono alcuni i quali non amano Dio se non quando ne sentono interna consolazione, e negli altri tempi si sentono freddi e svogliati. La consolazione interna è un premio gratuito che Iddio concede talvolta, e che talvolta nega, a fine di mettere a prova il nostro amore. Se in questa prova noi venghiamo meno, come potremo dire di amare veramente6 Dio? Questa consolazione bisogna chiederla sì, ma non pretenderla: e quando ci è negata bisogna aspettarla con longanimità e raddoppiare il fervore delle nostre preghiere. Ma io vi ho trattenuto abbastanza, o Rev.dē Madri, sopra queste considerazioni. Voglia Dio che io e voi ne facciamo profitto e lo mostriamo colle opere. Di questo preghiamo la divina Misericordia, perché colle nostre forze non potremo nulla.

O Dio amabilissimo quanto mai desidereremmo di amarvi proporzionatamente alla vostra eccellenza e all’amore che avete portato a noi. Ma il nostro cuore è sì ristretto; è sì arido, che se voi non lo ammollite colla rugiada soavissima delle vostre benedizioni, se voi non gli date ampiezza colla vostra potenza, non potremo mai concepire un affetto che di voi sia degno. Vogliamo amarvi o Signore: vogliamo amarvi con un amore alto, magnanimo profondo, perseverante: vogliamo amarvi quanto vi amano i Serafini nel Cielo; ma noi non potremo nulla col nostro desiderio, se voi non  ci ajutate ad amarvi. Questo speriamo dalla vostra bontà e misericordia, la quale ci assista e ci accompagni tutti i giorni della nostra vita.

1 Ad S. Pietro 88

As S. Domenico 93

2 Teso aggiunto per una successiva utilizzazione dell’omelia

3 R nulla

4 I ci narra la storia di

5 Le ho

6 A perfettamente

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