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Della Risurrezione di Gesù Cristo

Dai Discorsi del Servo del Dio Didaco Bessi

 

Della Risurrezione di Gesù Cristo1

Addolorata nei passati giorni la Chiesa per la morte del suo caro sposo, sedea piangente presso il sepolcro che racchiudeva il sanguinoso adorabile corpo del Redentore; ed esponendo ai nostri occhi i mesti e dolorosi riti dei giorni prossimamente trascorsi, ci ha come preso per mano affinché, insieme col nostro Redentore discendessimo nel santo sepolcro. Ora ella ad un tratto cambiando i suoi vestimenti di lutto, lasciando le sue dolenti salmodie, intuona il trionfale alleluia, e ci eccita a sollevare i nostri cuori, a rassenerarli di sovraggrande allegrezza, ed a risorgere esultanti con Cristo, trionfatore dell’inferno e del peccato. Oh giorno degno della più solenne ricordanza per noi cristiani!

Gesù Cristo è veramente risorto, e la di lui risurrezione, provando invincibilmente la sua divinità, mette il suggello alla verità della religione che ha promulgato e diviene il fondamento inconcusso della nostra fede. Infatti il Redentore propose qual prova incontrastabile di sua divinità il risorgimento da morte. Lo scongiurano i giudei a voler mostrar loro che egli sia il Figliuolo di Dio, per credere in lui; ed in prova di ciò vogliono miracoli. Come? Non bastano forse a convincer costoro gli avverati oracoli dei profeti, i demonii messi in fuga, i ciechi che vedono, i sordi che odono, i muti che parlano, gli storpi che camminano, i morti che risorgono? Sì, tutto questo basta; ma, quasi fossero un nulla tutti questi prodigi, così loro risponde il divino Maestro. Questa generazione perversa e scellerata mi domanda miracoli; ma altro miracolo non avrà da me fuorché quello di Giona profeta. Come Giona stette tre giorni nel ventre del pesce e poi ne uscì vivo e sano, così il Figliuolo dell’uomo, dopo che sarà stato sepolto nel seno della terra, il terzo giorno ne uscirà glorioso e trionfante. Né potevasi dal Redentore scegliere prova più convincente di questa per manifestare al mondo l’unità della divina sua persona sussistente in due distinte nature. Se il miracolo è la voce di Dio, se il maggiore di tutti i miracoli è la risurrezione di un morto, che dovrà dirsi di colui che esce fuori dal sepolcro per virtù sua propria, se non che è un Uomo-Dio? uomo, perché è resuscitato; Dio perché resuscitò se stesso.

Voi da me cercate un prodigio, disse pure lo stesso Gesù Cristo in altra occasione ai Farisei, ( con cui vi dimostri che io sono il vero aspettato Messia. Eccolo. Io so che voi mi volete confitto sulla croce e morto di morte infame; fatelo pure, che io risusciterò me stesso. Solvite templum hoc, et in tribus diebus excitabo illud. Questa è una prova convincentissima della sua divinità, la cui forza sentirono anche i più ostinati suoi nemici. Infatti quando i principi dei sacerdoti dopo la di lui morte si recarono da Pilato cercandogli le guardie per custodire il sepolcro gli dissero: Costui prima di morire ha detto pubblicamente che sarebbe risorto; è da temersi dunque che i suoi discepoli vengano a togliere il corpo dal sepolcro, per poi spargere nel popolo che Egli è veramente resuscitato. E allora per noi sarebbe finita ogni cosa: saremmo rovinati.

Ora, o Revdē Madri, fu verificata appieno la promessa del nostro divin Salvatore. Ecco che spuntata appena l’aurora del terzo giorno dopo la di lui morte, l’anima sua beatissima si riunisce al corpo giacente nel sepolcro, ed Egli ne esce fuori trionfatore della morte. Il di lui risorgimento viene annunziato dalla terra che si scuote, dall’Angelo che rovescia la lapide sepolcrale, e ne spezza i sigilli, spaventando le guardie, e consolando le pie donne, col dir loro: è risorto, non è qui. Surrexit, non est hic. Indarno la Giudea ha congiurato contro il Santo de’ Santi, invano la sinagoga diede sfogo alla malignità del suo odio. Surrexit, ed è atterrito il preside romano che lo ha condannato, confusi sono coloro che lo chiamarono un impostore, sono spaventati i manigoldi che lo hanno crocifisso, svergognati quelli che poc’anzi crollando il capo lo invitavano a discendere dalla croce. Surrexit: e la morte si trova vinta e sconfitta nel centro stesso del suo impero e il Re di Israele mostrasi adesso nella grandezza della sua gloria. I soldati che i principi dei Sacerdoti avean posti a custodia del sepolcro corrono tosto al sinedrio ed ivi raccontano il grande avvenimento. Turbansi i sacerdoti, i senatori del popolo, e vengono a conoscere minutamente tutte le più piccole circostanze della avvenuta innegabile risurrezione. Oh profondità dei divini consigli! Quelle stesse guardie che furono poste al sepolcro perché i discepoli non rubassero il sacro corpo divengono i testimoni e i primi banditori della trionfale risurrezione di Gesù. Sconcertati i Giudei ne’ loro pensamenti, confusi ne’ loro sistemi, incerti nelle loro risoluzioni, oppressi dalla verità sfavillante, fremono di rabbia, infuriano, si contradicono a vicenda, e non trovando argomenti da opporre al fatto, risolvono di negarlo. Olà, dicono ai soldati, voi non direte nulla di ciò che avvenne; ma a chi v’interrogherà rispondete: Mentre noi eravamo immersi nel sonno, vennero i discepoli del Nazzareno, e rubarono il di lui corpo. E perché dicessero così, fu data loro una grossa somma di danaro. Insensato artifizio! Se il soldati erano immersi nel sonno, non poterono osservare ciò che avveniva; se erano desti, perché non impedirono ai discepoli di portar via il corpo del Salvatore?

Mentre i principi de’ sacerdoti, e i seniori del popolo s’affaticano perché non si diffonda la voce dell’avvenuta risurrezione, il Salvatore la manifesta in mille modi. Qui a due discepoli che si avviano ad Emmaus si dà a conoscere dopo aver loro spiegate le scritture che di essa parlavano; là si mostra a cinquecento persone. Entra nel cenacolo ed agli apostoli che attoniti credevano di vedere un fantasma, dice: Osservate le mie mani, osservate i miei piedi. Son io medesimo. Toccatemi, e riflettete che uno spirito non ha né carne né ossa, come vedete che io ho. Videte manus meas et pedes, quia ego ipse sum; palpate et videte quia spiritus carnem et ossa non habet, sicut me videtis habere. Rimprovera l’ostinata incredulità di Tommaso e, poni, gli dice il dito nelle mie piaghe e non volere essere d’ora innanzi incredulo, ma fedele. E perché, osserva qui S. Agostino, non avessero i discepoli a credere di essere stati ingannati da quanlche miracolo apparente, Gesù conversa seco loro per lo spazio di quaranta giorni. Non credendo subito i discepoli all’apparizione di Gesù Cristo e non credendola se non dopo le prove più incontrastabili dell’evidenza, nessuno v’ha che possa accusarli di prevenzione a favore del loro maestro; e la loro precedente incredulità diventa quindi un nuovo sostegno della nostra fede. E invero, se Gesù Cristo non è risorto, come mai gli Apostoli che erano sì deboli, sì paurosi, poterono in mezzo a Gerusalemme fra il maggior concorso del popolo annunziare la risurrezione di Gesù crocifisso e rinfacciare a’ giudei l’atrocità del delitto commesso col condannare alla morte l’Autore della vita? Come mai poterono convertirne più migliaia in brev’ora e confermare la verità di lor predicazione con varii strepitosi prodigi? Come mai questi discepoli che furono sì tardi nel credere, che riputarono favole e vaneggiamenti ciò che dicevasi delle apparizioni di Cristo resuscitato, come mai poterono rendere la più aperta testimonianza alla resurrezione del loro divino Maestro ed annunziarla sino alle estremità della terra, a dispetto dei tormenti, delle croci, della morte che a loro minacciavano i tiranni? Come mai il mondo si è arreso alle voci di costoro? Come mai la croce di Gesù Cristo potè riguardarsi dagli uomini come segno di vittoria e di trionfo? Ammutolisce l’empietà e non può rispondere a tali domande, essendo convinta suo malgrado. Il cristiano, penetrato da sì forti argomenti, riconosce la risurrezione di Gesù Cristo come articolo fondamentale di sua credenza.

Gesù Cristo è risorto da morte, risorgiamo noi pure con lui. Gesù Cristo riprese il suo corpo, entriamo anche noi di nuovo nello stato felice, da cui eravamo caduti per lo peccato. Gesù Cristo è risorto dalla sua tomba, ed ha spezzato i vincoli della morte: rompiamo anche noi quegli delle nostre passioni. Le porte dell’inferno sono infrante, la morte è vinta; il vecchio Adamo è annientato, e se n’è formato uno nuovo, e noi diventiamo nuove creature in Gesù Cristo… Corrispondiamo pertanto a questa grande operazione che si è compiuta in noi. E ad agevolare questa corrispondenza, consideriamo in primo luogo che Gesù risorgendo acquistò un perfetto dominio sopra di noi. Prima di questo tempo egli era il nostro servo, ora è il nostro padrone. Dal momento che egli comparve nel mondo vestito della nostra mortalità, egli non fece che caricarsi dei nostri peccati, per ajutarci a risorgere. Ma poiché egli ci ha comprati col mezzo del suo sangue, noi siamo addivenuti sua giusta possessione: noi siamo veramente suoi, non altro padrone possiamo e dobbiamo riconoscere che lui; perché non altri può aver su noi maggiori e più sacri diritti… Da ciò derivano tutte le grazie che noi gli dobbiamo, come anche il diritto che noi abbiamo alla sua gloria. Quindi segue che noi dobbiamo sottometterci umilmente al suo impero e pigliare il soave giogo che egli ci impone. Anzi dobbiamo noi supplicarlo di farsi padrone dei nostri cuori nella sua misericordia, di frenare le nostre passioni, di prendere possesso di quanto noi abbiamo e di quanto siamo, facendo a lui un sacrifizio universale di noi medesimi. Dobbiamo scongiurarlo con tutto il fervore di cui noi siamo capaci, di non voler permettere mai, che ci dividiamo dal cammino che egli ci ha insegnato; ma di prestarci il soccorso del suo braccio onnipotente, perché piuttosto possiamo progredire ogni giorno e camminarvi fedelmente fino alla morte. Dobbiamo da ultimo fare ogni prova ed ogni sforzo per porre in oblio le cose del mondo, e non avere altro desiderio, né altro pensiero che per la gloria di cui egli gode, e alla quale ei ci comanda di aspirare usando tutti i mezzi che possono condurci a questo beato fine. Vogliamo noi che egli ci accolga e ci inscriva nel numero dei suoi sudditi? Salutiamolo e adoriamolo come Re delle anime nostre, come nostro Salvatore e nostro Dio; preghiamolo di stabilire in noi il regno della sua giustizia e del suo amore, diciamogli: Fate, o Signore, che noi siamo vostri, senza riserva e senza divisione. Noi siamo vostra conquista e l’opera delle vostre mani: siamo vostro popolo e vostra porzione. Noi canteremo eternamente le vostre misericordie, e non cesseremo mai di predicare le vostre meraviglie e di pubblicare le vostre lodi.

Il passaggio che noi facciamo nel dominio di Gesù Cristo, importa in noi una totale rinnuovazione. Come il corpo benedetto e santissimo di Gesù risorgendo dal sepolcro, lasciò tutto il passato squallore, e comparve radiante di gloria, e con segno di vittoria incoronato; così l’anima nostra con lui risorgendo e divenendo sua proprietà, deve riprendere tutto il suo natio candore, e quasi regina ornata a festa, deve fare una bella comparsa nei regali appartamenti del suo Signore. Ma perché possa così trasformarsi è mestieri ch’ella ricopii in se stessa tutte le caratteristiche della divina risurrezione. Quattro sopratutte ne notava la Chiesa nel Vangelo della scorsa solennità; e queste vogliono da noi considerarsi e in noi riprodursi. E in prima, nota il Vangelo che Gesù risorse summo mane, cioè, al primo albeggiare del giorno. E da ciò possiamo trovare più documenti. E innanzi tutto che la risurrezione dell’anima nostra vuole operarsi prontamente. Chi, esaminando se stesso, conosce che tuttavia gli resta da fare assai nella perfezione della vita spirituale, cominci tosto l’opera sua; e la cominci con quell’ardore di spirito, con quella brama irrefrenata, che accendesi sempre nell’animo nostro alla vista di un bene che non peranco possediamo e che è fatto e destinato per noi; chi tuttavia se ne stesse poltroneggiando e aspettasse a muoversi l’opportunità, rassomiglierebbe all’infingardo, che risvegliatosi in sul mattino, e chiamato all’opere del giorno, se ne stesse sonnacchiando infino a tarda ora. Intanto viene il meriggio quando le opere dovrebbero essere già molto innanzi e nel colmo del fervore, ed egli appena le ha cominciate. Sopravviene la sera, quando esse dovrebbero essere già compiute, ed ecco che glie ne restano molte e importanti, ch’egli è costretto o di tralasciare o di farle con soverchia fretta, e incompiutamente e male. Non ci lasciamo in tale stato sorprendere dalla sera, ossia dalla morte. Il tempo è breve e rapido, e il da fare è molto. Iddio è grande economo del tempo: a chi bene e industriosamente non se ne prevale, egli lo nega. Tenghiamo bene nella memoria questa verità. Nei giorni trascorsi della quadragesimale penitenza, ognuno col sussidio della meditazione e della spiegazione della divina parola, deve già aver conosciuto ciò che far gli resti, per viemeglio pacere a Dio. Nelle vie della perfezione, o Revdē Madri, niuna di voi può aver fatto tanto, che tuttavia non abbia da far molto; perché nella santità il progresso non ha limiti. Però se bene avete ricercato voi stesse, se bene avete porto orecchio alle celesti dottrine, questa cognizione di quello che dovete far tuttavia, non può a quest’ora mancarvi. Dunque mano all’opera. Gesù sorgendo dal sepolcro, gittò via in un baleno come foglia inaridita, la grave pietra che lo copriva, e tramortì di subito spavento le guardie che lo vegliavano. Non men pronta e subitanea sia la nostra risurrezione: gittiamo via dall’anima tutto ciò che la copre, affinché spieghi libera le ali alle purissime regioni del Cielo. Sfavilli di carità e spanda luce dappertutto.

La seconda circostanza che il Santo Evangelista nota nella Risurrezione del Divin Redentore, si è che surrexit vere, risuscitò veramente. Or questa verità vuol trovarsi ancora in noi, se noi pure siamo chiamati (come non v’ha dubbio) a risorgere con Cristo. La vera resurrezione del peccatore è l’abbandono totale e costante delle disordinate passioni che lo trassero infelicemente nelle vie della perdizione. Ma qui non si tratta di siffatti peccatori. Nondimeno ognuna di voi, esaminando con sincerità la propria condotta, avrà trovato per certo qualche difetto (e chi è che non possa trovarne?) da dovere emendare. Or bene: anche da questo bisogna risorgere, e la risurrezione vuol essere tale da rendere immagine di quella di Gesù Cristo Signor Nostro, cioè deve esser vera. La qual verità consisterà in questo, che una volta abbandonato quel difetto, non si torni nemmeno per poco a fargli buon viso. Molti rinunziano in un subito slancio di ardore ai favoriti difetti; ma ahimè pochi son quegli che hanno coraggio di sostenere costantemente quel distacco. E quegli non risorgono veracemente; perché dopo essere stati per brev’ora fuori del sepolcro, tornano a ricadervi, e qualche volta, pur troppo, per risorgere mai più. Un cristiano che veramente è risorto non ha altro studio che di combattere le sue passioni, e massimamente il suo amor proprio, di vincere i suoi naturali difetti, di avvezzarsi alla mortificazione, di scuotere insomma la sua pigrizia e la sua accidia nella pratica delle virtù. Gesù dal sommo della Croce ov’egli spirò, c’invita colle braccia stese ad imitarlo ed a morire con lui. Risorto poi dalla tomba, ci stende di nuovo le braccia, e ci grida: Venite a vivere con me: io non sono più stretto dai legami della morte, ma sono glorioso ed immortale: vivete anche voi immortali nella mia grazia, ed io vi farò vivere immortali nella mia gloria.

La terza circostanza che si nota nella Risurrezione del Divin Redentore è che egli apparve a molti dei suoi discepoli. Queste diverse e molteplici apparizioni non altro intento avevano che di accertare a tutti la sua risurrezione. Anche di qui l’anima cristiana ha da trarre un bel documento. Imperciocché anch’ella deve apparire, per l’altrui edificazione, purgata veramente da quei difetti, dai quali poc’anzi risorse. Deve render coi fatti questa testimonianza della propria risurrezione; perché quindi segue che gli altri ne prendano incoraggiamento ed esempio. Proximi opera vestra bona videant et glorificent Patrem vestrum qui in coelis est. Questa testimonianza che noi, per tal mezzo, rendiamo alla virtù ed efficacia della grazia, ben è diversa da quella ostentazione del bene che si fa da taluni che tendono più alle apparenze che alle realtà. Imperocché l’edificazione mira alla gloria di Dio; l’ostentazione alla propria stima; l’edificazione intende ad illuminare le anime dei prossimi, l’ostentazione ad ingannarle, facendo loro apparire quello che non è; l’edificazione cresce per frutti di opere; l’ostentazione romoreggia per orpello di parole. Attendete adunque a porgere esempio alle altre della vostra emendazione, con l’intento che le consorelle vostre ne traggano opportunità di glorificare Dio, e di far esse altrettanto, rispetto a’ propri difetti. Così accenderassi una nobile e generosa emulazione nel bene: le anime vostre assument pennas ut aquilae, volabunt et non deficient, impenneranno le ali non altrimenti che aquile, e spiegheranno il volo, e non verranno mai meno. Se alcuna per innanzi conosceasi poco esatta agli atti comuni, dica col fatto, io sono risorta, non sono più là nel sepolcro. Mostrisi più delle altre volenterosa e puntuale, e dove prima faceasi attendere, attenda ora le altre, e facciasi trovare al suo posto. [Chi conoscevasi poco mortificata nella lingua; dica coll’opera, io sono risorta; e dove per innanzi faceasi notare di soverchia facilità e franchezza, mostrisi ritenuta e rispettiva. Chi in addietro mal volentieri porgeasi a far servizio alle sue sorelle, o le trattava con qualche asprezza, io sono risorta dica, e così prevenga i loro desiderii e sia infaticabile nella carità.]2 Così come Gesù testimoniò per molti argomenti la sua risurrezione apparendo ai discepoli, e parlando loro e istruendoli e edificandoli, nello stesso modo la risurrezione vostra sarà conosciuta ed accertata, e ne avrà gloria Dio, e incremento di grazia l’anima vostra. In ultimo non si vuol trascurare un’altra circostanza della Risurrezione di Gesù. Alle pie donne che cercavano nel sepolcro il corpo del loro Divino Maestro, affine di profumarlo coi preziosi aromi, l’Angelo disse: “Andate, egli è risorto, non è qui. Egli vi precederà in Galilea, colà lo vedrete”. Vengono le donne al sepolcro, perché la Chiesa militante, che in esse è simboleggiata, va tutta al proprio sepolcro; e poi dal sepolcro di Cristo attingerà la virtù per far risorgere gloriose le sante sue membra. Nella fine dei secoli il mistico Corpo di Gesù parteciperà della consumazione del suo Capo, come ha partecipato della sua santificazione, della oblazione e della immolazione nel Sacrifizio, che esso ha offerto, qual Ostia vivente, santa, accetta a Dio. Allora avverrà la perfetta consumazione delle nostre miserie, la quale ci eleverà alla gloria degli Angeli. Prendiamo dunque la consumazione di Cristo, come pegno della nostra; poiché come tutti siam morti in Adamo, così in Cristo tutti saremo ravvivati: et sicut in Adam omnes moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabuntur. Ma oh Dio! se tutti risorgeremo, non tutti saremo mutati! Felici coloro la cui risurrezione sarà per passare alla vita; nella quale il corruttibile ed il mortale, sarà distrutto affine di rivestire la incorruzione e la immortalità. Questa incorruzione si ottiene pei preziosi aromi, ossia colla santa orazione e colle opere di penitenza. Come le pie donne che vollero con essi onorare il corpo di Gesù, meritarono che pel ministero di un Angelo fosse loro indicato dove avrebbero potuto trovarlo; così noi facendo altrettanto, meriteremo che l’Angelo del Signore ci guidi colà dove il trionfante Redentore ci ha preceduto, e dove ci attende per beneficarci nella eternità.

[Tra i tanti miracoli, che operò Gesù Cristo, o Revdē Madri, niuno diede una prova più incontrastabile della sua Divinità, quanto il suo risorgimento. Iddio solo poteva risuscitare se stesso. Questo è il maggior fondamento di nostra Santa Religione.]3

 


1 As  Salesiane 92 Ad S. Pietro 86

2 […] Testo omesso per una successiva utilizzazione del discorso.

3 […] Testo forse da aggiungere in una successiva utilizzazione del discorso.

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