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Passione del N. S. Gesù Cristo

Dai Discorsi del Servo del Dio Didaco Bessi

 

Passione del N. S. Gesù Cristo1

 

Nella dolce mestizia di questo giorno memorando, mentre tacciono gl’inni festivi della chiesa, tace il suono dei sacri bronzi; e i santi altari sono vestiti a lutto, noi dobbiamo meditare la passione del nostro divin Redentore; dobbiamo contemplare la morte di Gesù, che oggi sopra un patibolo infame ha voluto sacrificare se stesso per noi. [Ma ahimè ch’io tremo e mi sbigottisco! Imperocché questo cuore che dovrebbe essere pieno di pianto, sento che non si commuove. Così io dico, o Revdē madri, di me; non per voi. Voi siete ben penetrate dei dolori dello sposo vostro: voi respirate nelle sue sante piaghe; voi morite con Lui, e con Lui riviverete. Nondimeno perché il meditare la passione di Gesù, è un rinfuocarsi nell’amore di lui, è il solo mezzo o di vincere o d’impedire la durezza del cuore, venite meco, per poco, in questa considerazione. Qual giorno potrebbe più di questo convenire a sì fatti pensieri? quale altro potrebbe meglio aiutarci a quella santa commozione?]2 Io non intendo di ripetervi la pietosa storia della Passione. Voi l’avete più volte sentita in questi giorni nella sublime semplicità dei Santi Evangelisti: voi ne avete veduto un immagine nei commoventi riti della Chiesa. Le mie povere parole non potrebbero che diminuire l’impressione che ne ha ricevuto il vostro cuore. Però io non altro mi propongo, se non di fare alcune riflessioni sopra le più solenni circostanze di quella istoria d’immenso amore, affine d’infiammarci sempre più nella divina carità. Crocifisso Signore, guidate i nostri pensieri, dirigete i nostri affetti, ammollite i nostri cuori, rischiarate il nostro intelletto, acciò questo possiamo fare con nostro frutto.

E primieramente ci gioverà di fare un confronto. Non fu l’uomo solo che ribellossi alla divina volontà. Voi lo sapete : lo spirito di superbia s’impossessò d’una legione immensa di Angeli subornati da quel torbido spirito, che si appellava l’Angiolo della luce. L’angelo e l’uomo dunque meritarono lo sdegno, e la maledizione di Dio. Ma accanto alla Giustizia divina, armata d’una bilancia infallibile e d’una inesorabile e tremenda spada, pronta di ferire, genuflettesi con dolce atto la divina misericordia, la quale congiungendo le palme e supplicando, sospira la grazia pei colpevoli infelici. E sopra chi dovrà scendere questa grazia del perdono? sopra l’angelo o sopra l’uomo? Ella potrebbe sollevarli ambedue. Ma è scritto negli incancellabili decreti di Dio, che uno dei due debba perire: che uno dei due debba subire intera la sciagura eterna della sua maledizione. Chi dunque dovrà essere salvato, l’angelo o l’uomo? se si riguarda alla nobiltà, certamente parrebbe che dovesse esser salvato l’angelo. Imperocché non è egli il primogenito della creazione? Non sono forse gli angeli spiriti purissimi, e destinati ad assistere al trono dell’altissimo, a ministrare a’ suoi cenni, e a far bello il paradiso? Un re non fa grazia più volentieri a chi è vicino al suo trono, a chi è dimestico della sua reggia, piuttosto che a colui che non gode di tal dignità? Dunque se grazia dovea farsi non sembrava egli più conveniente ch’ella fosse fatta più presto agli angeli che all’uomo? Eppure Iddio dimenticò quegli angeli ribelli; gli precipitò nel baratro infernale e cangiolli in altrettanti demoni. E l’uomo, sì inferiore in nobiltà e in dignità, l’uomo sì meschino, non appena è caduto, che tosto gli è promesso un Liberatore, un Redentore; aspettato sì per molti secoli; per molti secoli simboleggiato, prefigurato, ma pur finalmente mantenuto; e come mantenuto! La divina misericordia avrebbe potuto far grazia all’uomo con un semplice atto della sua volontà. Ma nò: la Giustizia doveva esser sodisfatta compiutamente: ella non dovea nulla perdere dei suoi diritti. E poiché a una riparazione di tal natura non era bastante che un Dio; dunque (fu detto nell’Eterno Consiglio) un uomo-Dio sia il satisfattore di questo debito immenso. Ed ecco l’Unigenito stesso di Dio, consustanziale al Padre, eccolo pigliar carne umana, e gravarsi di tutti i peccati dell’umanità, e per essi offerirsi vittima alla divina giustizia oltraggiata. Ecco di quanto è stato amato l’uomo sopra gli angeli stessi; ed ecco ampia cagione di amore e di gratitudine verso Gesù nostro Redentore. Ma di quanto non deve crescere e rinfuocarsi questo affetto di gratitudine e di corrispondenza, se consideriamo tutte le circostanze di questo grande avvenimento, e in special modo quelle ultime e più solenni che lo perfezionarono. Fermiamoci un poco sopra qualcuna di queste; perocché dove meglio potrà essere esercitato il pensiero che sopra i fatti della nostra Redenzione? [Rechiamoci colla mente, o Revdē Madri, rechiamoci nel Gessemani. Di là cominciano con tutta la loro forza i dolori di Gesù: là cominciò veramente a farglisi sentire tutta la gravezza del nostro peccato. Deh accompagnamolo in quel luogo di amarezza; piangiamo al suo pianto; tremiamo ai suoi tremiti di sbigottimento e di orrore. Imperocché egli è lì per noi: pel nostro peccato egli soffre; e soffre quanto non è dato alla mente nostra di comprendere. Nondimeno sforziamoci di entrare nell’anima sua benedetta; facciamo ogni prova di intendere i suoi dolori e di patire con Lui. Dice il santo Evangelista che non appena Gesù si fu prostrato nell’orazione: Coepit tedere, pavere et moestus esse, cominciò ad atterrirsi e a rattristarsi. E nel Salmo 54 che è una solenne profezia di questo momento angoscioso, David parlando in persona di Gesù, dice:”Il mio cuore mi trema nel petto, e un ter(191 r)rore di morte è caduto sopra di me: il timore e il tremore mi ha sorpreso, e le tenebre mi hanno circondato”.]3 E perché tanto sbigottimento in Gesù? Due grandi cagioni produssero in lui questa piena di dolore. Prima l’apprensione della morte vicina, e la previsione degli strazii che doveano accompagnarla. Fu in quel momento che si schierarono dinnanzi alla sua mente con orrido aspetto tutti i patimenti che doveva soffrire dalla malignità dei suoi nemici. Vide l’iniquità dei giudizii a cui doveva esser sottoposto; vide gli scherni crudeli che come dardi infuocati dovevano ferirlo: vide le calugne che doveano lacerarlo: vide i flagelli che dovevano far correre a rivi il suo sangue: vide l’abbandono degli amici; il tradimento; vide le spine, i chiodi, i martelli; vide la Croce. A tanto cumolo di mali la sua umanità tutta si scosse, e fu compresa da un brivido e un’agonia mortale. In quel momento si adempivano in lui tutti i rigori della Giustizia. Imperocché a cancellare la macchia del peccato onde era lorda l’umanità, era forza che l’umanità sua, che tal peso avea tolto sopra di sè, soffrisse tutte quante le pene che erano dovute a tutti quanti gli uomini che erano nati e che nascerebbero. [Vi ricorda egli, o Revdē Madri, di Giacobbe, allorché ravvolto in un ispida pelle di fiera si presentò ad Isacco, affine di farsi credere Esaù? Tale il Figliuol di Dio presentossi all’Eterno suo Padre colà4 al Gessemani: si presentò, dico, nelle sembianze avvolto e nella figura di peccatore: In similitudinem carnis peccati (Rom.8.3). Ed oh! sotto tale e odiosa sembianza, che orror sorpreselo di se medesimo, che raccapriccio, che confusione! Egli, la santità per eccellenza, vedersi coperto di quella orrida lebbra! Egli, la stessa purità, vedersi in quel fango schifoso d’immondezze! Egli la stessa giustizia, vedersi intorniato di tanti iniqui giudizii, di tante frodi, di tanti latrocinii, di tante infedeltà, quante ne commisero e ne commetteranno mai gli uomini! Ah! che tra i dolori che dovevano offendere il divino suo corpo, e tra l’orridezza del peccato onde vedeasi coperto, l’anima sua benedetta fu presa da tale agonia, che non potendo più reggere a tanta piena di affanno, Deh, Padre mio, esclamò, se possibil sia, allontanasi da me questo calice amarissimo.

Ma non solo la vista di tali orridezze strappò al sofferente Gesù questa preghiera di sconforto. Un’altra cagione, un’altra cagione possiamo in lui vedere di quelle atroci agonie. Imperocché gli si affacciarono in quel momento al pensiero tutti quegli pei quali il prezioso suo sangue sarebbe stato sparso invano. Quanti ingrati, quanti disleali non vide egli in quell’ora! A che tanto sangue, per gente che lo calpesteranno? A che tanto amore, per gente che mi perseguiterà sempre coll’odio il più feroce? Quanti non vedo io rinnegarmi per darsi in braccio alle più turpi passioni? quanti non vedo affaticarsi per distruggere la mia vigna eletta! quanti errori contro le mie dottrine! quante eresie per espugnare la mia Chiesa! Il patire sarebbe nulla; ma patire per essere oltraggiato e schernito da quelli stessi pel cui amore, per la cui salute io soffro, ah questo questo è ciò che lacera il mio cuore. O uomo, o uomo quanto mai non mi costi! Ma quae utilitilitas in sanguine meo? Una gocciola sola di questo sangue sarebbe capace di salvare mille mondi, e tutto quello che ho nelle vene non sarà bastante a salvare gli uomini tutti di un mondo solo? dovranno la maggior parte andar dunque perduti? quae utilitas in sanguine meo? Ecco il pensiero che tormentava Gesù ben più che le spine, i chiodi e la croce. Ecco il pensiero che gli strappò quella preghiera di sconforto al Padre. Ecco finalmente il pensiero che dalla curvata sua fronte fece grondare sudore di sangue. In quel momento fu quasi pentito di avere impreso la sua celeste missione: l’umana e la divina volontà furono per un momento a contrasto. Ma ben presto però questa seconda ebbe a trionfare; perocché di nuovo rivolgendosi al padre, non la mia si faccia, disse, ma la tua volontà! Vedete che sublime rassegnazione! E noi per le nostre piccole miserie, oseremo dolerci, ricuseremo piegare il capo ai divini voleri? Deh afflittissimo Gesù, come voi foste pronto a piegare il capo alla volontà del padre celeste, così noi vi promettiamo di uniformarci in tutto ai vostri divini voleri. Vi piacerà di metterci a dure prove? e noi colla vostra grazia le sosterremo. Vi piacerà affliggerci con infermità, con tribolazioni di corpo e di spirito? e purchè voi ci assistiate, le accetteremo volentieri, ed avremo per gran ventura di potere patire per voi. Ma, o Gesù buono, un pensiero ci tormenta. Tra quegli sciagurati che presentaronsi alla vostra mente in questa ora di agonia, tra quegli sciagurati, pei quali il vostro sangue prezioso sarebbe sparso invano, deh dite, Gesù misericordioso, saremmo pur noi? noi in quel numero saremo? De’ figli vostri fedeli , o de’ figli vostri perduti? o crudele incertezza! o pensiero desolante! ah piuttosto che andar incontro a questo tremendo pericolo col farci vivere lungamente, piuttosto fateci morire , o Gesù misericordioso, ora se siamo in grazia vostra! abbiateci pietà: siamo poveri e meschini; siamo fiacchi e privi di ogni virtù: se la vostra grazia ci abbandona siamo capaci di tutto. Le buone disposizioni che ora sentiamo potrebbero cangiarsi: abbiateci pietà. Ah no, Revdē Madri, non ci mancherà mai Gesù della sua assistenza, purchè stiamo con Lui vigilanti nell’orazione; purchè non ci lasciamo prender dal sonno come gli Apostoli nel Gessemani. Sedete quì, aveva loro detto, mentre che io mi reco là a pregare. Ma tornato Gesù gli trovò che si erano addormentati; onde gli rimproverò dolcemente dicendo: “Voi dunque non avete potuto vegliar meco un’ora: vegliate e pregate, acciò non vi sorprenda la tentazione: imperocché lo spirito è pronto, ma la carne è inferma: Vigilate et orate ut non intretis in tentationem. Spiritus quidem promptus est, caro autem infirma. Tenghiamo ben impresse queste parole nel cuore; perché nulla vi ha di più mortale del sonno dell’anima; sonno che consiste nel raffreddamento dello zelo nei propri doveri e nella spensieratezza delle cose di Dio; sonno che se si lascia troppo inoltrarsi, ci avvincerà in guisa da non risvegliarsi più mai; sonno infine che5, se a tutti [è fatale, fatalissimo egli è alle persone consacrate a Dio, sieno esse o Sacerdoti o monaci. Oh io tremo, a pensare che io e voi, essendo destinati a vegliar sempre dinanzi all’altar del Signore, a pensare, dico, quanto potrebbe esserci mortale questo sonno.]6 Vedete Pietro? gli occhi suoi erano gravati, e si lasciò addormentare. E indi a poco rinnegò Gesù. Egli si pentì è vero, ed ebbe la grazia delle amarissime lacrime della penitenza. Ma questa grazia vorrà Iddio usarla anche a noi? Stolta cosa sarebbe il fidarsi in questa incertezza. Vedete ancora: Caddero gli angeli e cadde l’uomo. Ma gli angeli furono abbandonati alla loro riprovazione e l’uomo fu salvato. [Non deve questo gran fatto metterci in timore? Gli angeli furono abbandonati; perché avendo essi avuto maggior cumolo di grazie, maggior chiarezza di nobiltà, la loro caduta fu più vergognosa. Ora pensiamo che la condizione mia, che la condizione vostra è condizione veramente angelica, per l’alto ufficio a cui siamo stati sollevati: forse se noi cadessimo, non dovremmo aspettarci l’istessa sciagurata sorte degli angeli riprovati? Deh non ci lasciamo dunque fuggire mai dalla mente il salutare avviso dato da Gesù agli Apostoli nel Gessemani: Vigilate et orate, ut non intretis in tentationem. Spiritus quidem promptus est, caro autem infirma.

Le angoscie da Gesù prevedute in quella estasi angosciosa non tardarono a dimostrarsi in effetto. Ecco che la solitudine dell’orto è disturbata da un fremito confuso e da un accorrere di furibondi: quelle sacre tenebre sono rotte da molte fiaccole ferali: una turba di forsennati con bastoni e spade impugnate si avanza cercando a morte Gesù. Ed ahi orrore! questi iniqui sono guidati da un discepolo stesso di Gesù, da un Apostolo, da un Giuda, il quale, avendo sentito, che i principi de’ sacerdoti cercavano di avere nelle mani il Nazzareno, egli divorato da crudele avarizia, pose a prezzo il suo divino maestro, e per pochi denari lo vendette ai suoi crudi persecutori. Gli Apostoli che erano con Gesù, e Pietro innanzi agli altri, veduto il pericolo del loro Maestro, volevano metter mano alle spade, e respingere la forza colla forza. Ma Gesù il vietò severamente, volendo insegnare che i suoi veri seguaci, non debbono difendersi nelle persecuzioni come si difendono i superbi e potenti del mondo; ma debbono combattere colla dolcezza colla mansuetudine, colla rassegnazione, e con quella forza onnipotente che ha di per se stessa la virtù; senza bisogno di altrui soccorso o della forza materiale delle armi. Ma ecco che Egli è legato come malfattore e condotto dinanzi a un giudice iniquo. L’accusa che gli davano era di volersi fare re dei Giudei. Oh egli era qualche cosa più, era il re dell’universo, il re dei re. Gesù non rispose alle accuse. Quantunque il giudice volesse condannarlo, pure non gli riuscì trovar causa sufficiente; onde essendo costumanza ne’ dì solenni di liberare alcun reo, trovandosi in un istessa cattura Gesù e un ladro di nome Barabba, Pilato propose al popolo che fosse liberato Gesù ch’egli trovava innocente. Ma quei perfidi giudei con grida feroci incominciarono siccome tigri fameliche, a esclamare, che volevano libero il ladro e crocifisso Gesù: Crucifigatur! Crucifigatur! Oh quale orrore è mai questo! Gesù posposto a un ladro! e dove può egli immaginarsi enormità più infernale di questa? Ma dite, o Reverende Madri, che cosa facciamo di meglio noi peccatori, allorquando offendiamo la divina legge? non posponiamo forse Gesù a Barabba? ah che noi non possiamo percorrere questa divina istoria senza trovare in essa motivi grandissimi di confusione, senza sentirsi pungere il cuore da acerbi dolori. Pilato conobbe Gesù innocente, tuttavia, per non contrariare al popolo, per non perdere la sua amicizia, consentì, ah rea debolezza! consentì di darlo loro nelle mani, perché lo flagellassero e lo crocifiggessero. [Attendano bene a questa tremenda lezione coloro che sono collocati a esercitare autorità di superiori.]7 Quanto è facile per una debolezza non dissimile da quella di Pilato, chiuder gli occhi a gravi abusi. Quante volte non si manca al dovere per umani rispetti! Pilato credè di essersi scaricato della responsabilità di quel sangue innocente con lavarsene le mani. Che deplorabile illusione! come se non fosse reo ugualmente chi commette il male, e chi, potendo e dovendo, non lo impedisce. Egli avrebbe dovuto, anche a rischio della propria vita far valere l’autorità sua contro quei barbari e salvare il Giusto dalle loro mani. Ma invece di opporre questo coraggio nobile e generoso, fattosi portare dell’acqua, lavossi le mani: Io sono innocente dal sangue di questo Giusto, pensateci voi: Ecco tutta la difesa, tutta la resistenza di quest’uomo vilissimo. Vediamone gli effetti. Gesù è preso a furia di popolo; è spogliato delle sue vesti, è legato a un tronco di colonna8. [Oh io l’ho veduta questa colonna, che or si venera in Roma tra l’altre preziose memorie della passione di Gesù! E qui, qui (ho detto) furon avvinte quelle mani divine che hanno formato il cielo e la terra! questo è il luogo delle crudeli ritorte! Come penosamente dovea esserci ricurvato Gesù, essendo il tronco si basso! chi sa quanto di quel sangue prezioso che ha redento il mondo, è scorso su quella pietra. Fra le parti del nostro corpo niuna è più delicata e sensitiva della pupilla dell’occhio: un atomo di polvere che vi si cacci, è bastevole di farla risentire di aspro dolore. Ebbene, il corpo di Gesù ben più sensitivo dovette essere della pupilla dell’occhio nostro.]9 Or si può considerare quali spasimi ognuno di que’ flagelli doveva in lui destare. Né quegli inumani si arrestavano a vederlo tutto livido e gonfio, tutto lacero e grondante di sangue! Rinnovano le percosse, ed ogni percossa straccia e trae via la pelle. Già egli non hanno più dove percuotere, perché tutto il suo corpo è una piaga, né serba omai più umana sembianza. Oh doloroso Gesù, e qual’è il ristoro che vi danno quei crudeli dopo tanto patire? Ahimè! che allo strazio del corpo vogliono aggiungere ancora lo strazio dello spirito, caricandolo di scherni villani e di obbrobri amarissimi. Vestito di uno straccio di porpora, con un fardello di spine sulla fronte per corona, con una vil canna in mano per iscettro, lo traggono con risa e con sibili e con ebbre grida dinanzi alla bordaglia assembrata, dicendo, ecco il vostro re. Ah trionfate, trionfate nella vostra rabbia e nei vostri scherni, o ciechi inumani, o codardi dissennati, trionfate; che questa è l’ora vostra. Ma presto, siate certi, presto verrà anche l’ora di codesto percosso e umiliato; e codeste piaghe che in lui avete aperte saranno tante fornaci di fuoco divoratore; codesta corona di spine che gli avete posto sulla fronte; sarà aureola più abbagliante del sole; codesto straccio di porpora sarà manto reale più maestoso e più  brillante del firmamento; codesta canna spregevole sarà scettro di tutta possanza che vi stritolerà siccome vaso di creta, e quel volto sì umiliato, e quegli occhi sì bassi e smorti, manderanno folgori ardenti, allorché voi sciagurati lo vedrete nella sua seconda venuta. Ma egli son ciechi e sordi e privi di senno, né pensano che questo possa mai avvenire; però perfidiano nella loro rabbia, e cumulano scherno a scherno, offesa ad offesa. Percuotono di guanciate quel volto divino; lo insozzano di sputi; lo trascinano di tribunale in tribunale, lo vestono a modo di pazzo, e per beffa lo salutano re. Finalmente viene il momento tremendo di dover compiere e suggellare il sacrifizio estremo. Alla croce! alla croce! gridano quelle turbe feroci! Oh chi potrà, senza che gli si spezzi il cuore, chi potrà accompagnare l’afflitto Gesù per la via del Calvario? chi potrà senza piangere a cald’occhi vederlo gravato le spalle di quel peso enorme; legato di ruvida fune, trascinato su pel monte dai manigoldi, con urti e percosse, mentre lascia sopra i suoi passi larghe tracce di sangue? chi potrà vederlo più volte cadere sfinito anelante? e rialzarsi a furia di calci e percosse? O mio Gesù, che abisso è mai questo dove la nostra mente si smarrisce! E tutto questo voi soffrite per nostro amore! e tutto questo voi sostenete pei nostri peccati! O amor nostro, e noi siamo sì insensati da non disfarci di lacrime, ai vostri piedi? e noi siamo sì freddi da potere assistere a queste immense prove di (196 r) amore, senza punto commoverci? L’amore non possiamo averlo da noi: a voi o mio Gesù bisogna chiederlo. E qual momento più proprizio di questo, per impetrarlo, mentre egli è in procinto di darci l’ultima e più sublime prova di quanto egli ci ama? Vedete, già egli pervenuto sulla vetta del Calvario, è spogliato e disteso con violenza sopra la croce. Già i manigoldi apprestano i chiodi, brandiscono i martelli per conficcarvelo dolorosamente. A quei colpi spietati, oh come stillano di sangue quelle mani e quei piedi ! Sangue che cadendo a rivi sopra la terra la purifica da ogni immondeza. Sollevasi la croce, e per maggiore ignominia si pone in mezzo ai patiboli di due ladri. L’agonizzante Gesù col capo ripiegato sopra il petto, spira dai suoi occhi semichiusi, e dal suo volto pallido, una tale dolcezza di amore, che pare in esso raccolto tutto il paradiso. Oh non importa che egli ci dica per qual cagione egli soffre e muore. Troppo chiaro ce lo dicono i suoi occhi amorosi; troppo manifesto si vede dal suo volto dolcissimo. Nondimeno10 egli vuol parlarci anche in mezzo a quegli spasimi atroci dell’agonia, e vuol convertire quel patibolo d’ignominia in una cattedra di verità. “O Padre, o Padre mio (egli esclama) perdona a questi ciechi e spietati; perché non sanno quello che si facciano”. Ecco come egli ama i peccatori; come vuole la loro salute; com’egli è pronto a scusarli nella loro stessa iniquità. E noi non vorremo imitare cotanta bontà? cotanta mansuetudine? Noi non ameremo chi ci fa del male, o chi non ci porta affetto? Quanto saremmo indegni del nome di suoi figli! se in questo abbiamo fin qui mancato, porgiamoli le lacrime del nostro pentimento. Oh quanto gli son care queste lacrime. Egli mai non le lascia senza premio. Vedetene un esempio solenne. Uno dei ladri con lui crocifissi, lo prega pentito di ricordarsi di lui nel regno celeste; ed egli pronto risponde a quella preghiera con questa invidiabile promessa “In verità io ti dico che oggi tu sarai meco in Paradiso”. Deh quanto è buono e misericordioso Gesù! Ma una prova anche più grande della sua bontà l’abbiamo nell’averci lasciata per madre nostra la cara madre sua. Imperocché rivolto a Giovanni, nel quale tutti noi redenti siamo adombrati, additandogli Maria disse “Ecco la Madre tua” Ed a Maria additandogli Giovanni, soggiunse “Ecco il tuo figlio”. E che non potremo noi sperare col patrocinio di una tal madre? Oh preziosa eredità del nostro agonizzante Gesù! Egli è nelle più grandi agonie, e pensa a noi; agonie così orribili, che gli strappano dalle labbra tremanti questo pietoso lamento: “O Dio, Dio mio, perché mi hai abbondonato?” Tutti gli orrori della morte in quel momento pesavano sull’anima sua! fu quello il momento ch’egli sentì tutta la gravezza dei nostri peccati; tutta la grandezza del suo sacrifizio. Oh Gesù misericordioso quanto, quanto vi costa la nostra salute. E noi saremo così insensati di rigettarne il prezzo coll’offendervi ancora? Voi nelle vostre agonie, dite di aver sete “sitio” ma intendiamo bene qual’è la sete vostra; è la sete della nostra salute; è la sete della nostra eterna felicità. Saremo forse sì sconoscenti da abbeverarvi, co’nostri peccati, di aceto e di fiele, come fecero i Giudei? Ah non sia mai vero, Gesù mio. Deh piuttosto fateci morire in questo momento, se noi vi abbiamo ad offendere ancora. La grande opera vostra voi l’avete compiuta: “Consummatum est”. Tutto è consummato. E’ questo il grido che voi mandate in faccia al Cielo e alla terra compresi di ammirazione e di stupore. Deh fate, o clemente Gesù, che anche noi possiamo, conforme la vostra volontà e il vostro esempio, compiere fedelmente l’opera che voi ci avete dato. Come voi sodisfaceste su codesta altura alla volontà del Padre, così noi possiamo sodisfare alla vostra volontà da servi fedeli, da figli amorosi.

Ma l’istessa insensata natura non può resistere ai patimenti del suo divino autore, e si commuove e si scuote. Dall’ora sesta infino all’ora nona, le tenebre si distesero sulla faccia della terra; il sole per la pietà del suo autore velossi la faccia,11 la luna apparve tinta di colore di sangue; il terremoto scosse il mondo sopra i suoi cardini; tremarono, si spalancarono i sepolcri; le ossa dei morti si agitarono confusamente, ed essi resuscitarono; il sacro velo del tempio squarciossi in brani; il terrore, lo sbigottimento ha sorpreso i perfedi crocifissori; né gli amici, gli apostoli, i discepoli di Gesù furono più saldi di loro. Il Golgota è involto nell’orrore, nel silenzio nella solitudine, nella quale solo apparisce l’agonizzante Gesù, e non men di lui agonizzante Maria. Quale spettacolo spaventoso! quale scena di pianto! In tanta desolazione, Gesù sollevando i languidi occhi, e mandando un altissimo grido – Padre, nelle tue braccia raccomando lo spirito mio,- piegando il capo, quasi a far cenno alla morte, che le dava facoltà di piombare sopra di lui, spirò.

O Gesù, o Gesù, noi vogliamo morire con voi! noi vogliamo spirare appie’ della vostra croce! Ma prima noi vogliamo tutto sacrificarvi in olocausto: il nostro intelletto, la nostra volontà, la nostra memoria. Su questo altare della croce vogliamo prima consumare col fuoco della carità tutti i nostri affetti disordinati. Vogliamo prima farci degni di voi, o Gesù, e poi morire; e morire con queste sante parole sulle labbra. Nelle vostre sante braccia o Gesù, raccomando lo spirito mio. [La vostra benedizione intanto accompagni questi santi proponimenti.]12

1 As S. Pietro 88; Ad S. Pietro 86 M. del Letto (?) 89

2 […] Testo omesso in una successiva utilizzazione del discorso.

3 […] Testo omesso in una successiva utilizzazione del discorso.

4 I Gesù si presentò all’Eterno Padre

5 I a tutti è fatale.

6 […] Testo omesso in una successiva utilizzazione del discorso.

7 […] Testo omesso in una successiva utilizzazione del discorso.

8 I e flagellato

9 […] Testo omesso in una successiva utilizzazione del discorso.

10 Le Nondimo

11 I il sole per la pietà del suo autore velossi la faccia,

12 […] Testo omesso in una successiva utilizzazione del discorso.

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